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Personalità

Sono un fallito! Cosa Posso fare se mi sento un fallito?

Elio Febbraio 13, 2022


Background

In certi momenti della vita dirsi “sono un fallito” ci sta ed è normale. Per realizzare i nostri obiettivi dobbiamo lasciarci alle spalle questo pensiero negativo e:

  • Perseverare nonostante tutto
  • Non prendere come esempio moltissimi dei modelli che ci vengono proposti oggi in televisione e sui social media
  • Abbandonare la figura della vittima con cui ci siamo immedesimati
  • Utilizzare un approccio scientifico
  • Cambiare la prospettiva con cui guardiamo il fallimento
  • Capire la fondamentale differenza tra tratti e stati
  • Vedere il fallimento come occasione di crescita e miglioramento
  • Celebrare i nostri fallimenti
  • Accettare i fallimenti come uno stato naturale e inevitabile della vita
  • Abbandonare il perfezionismo per focalizzarci sul miglioramento continuo
  • Focalizzarci sulle cose su cui noi abbiamo diretto controllo

Molte volte negli articoli scritti fino ad ora ho parlato della importanza di fare, di buttarsi.

Certo, quando incominciamo a camminare nella direzione che ci porta verso il raggiungimento dei nostri obiettivi, speriamo che vada tutto bene, ma, a volte, le cose non funzionano proprio come ce l’eravamo immaginate noi ed ecco che, quindi, potrebbero farsi spazio pensieri del tipo “ecco, lo sapevo che sarebbe andata così!”, “sono negato!“, “Non funziona mai niente di quello che faccio io. Sono un fallito!”, “ho fallito tutto nella vita!”.

Per quanto pensieri di questo genere siano assolutamente normali, specialmente quando ci rendiamo conto che le cose su cui abbiamo investito tanto tempo ed energie (e magari anche soldi) non funzionano, è chiaro anche che non ci aiutano a raggiungere quello che volevamo raggiungere all’inizio.

Questo perché pensieri distruttivi come questi ci segano le gambe e non ci permettono di utilizzare le nostre risorse appieno e, anzi, ci tolgono energie.

Ma cosa c’entra il sentirsi dei falliti con il lavoro?

Dirsi di essere dei falliti ha, ovviamente, anche delle serie ripercussioni sulla nostra vita professionale perché è proprio questo misto di vittimismo, pessimismo e depressione a non farci prendere il toro per le corna e abbracciare qualunque nostro sogno o progetto a causa del classico “ma tanto…”.

Se ci sentiamo dei falliti non solo non viviamo la nostra vita al pieno delle nostre potenzialità ma, anzi, ci crogioliamo nel nostro brodo e rimaniamo lì, fermi, senza fare nulla di costruttivo continuando a lamentarci della situazione, di quanto sia ingiusto il mondo cattivo, anche se vorremmo un cambiamento.

“Sono un fallito”: quando la nostra società non ci aiuta

Ci potremmo sentire degli incapaci, inferiori agli altri, inferiori alle nostre aspettative, inadatti a quelle degli altri e chissà quante altre cose.

Anche solo guardare i feed dei nostri amici, parenti e conoscenti, se siamo un pochino giù, può bastare per sentirsi dei falliti, perché i social sono progettati apposta anche per soddisfare la nostra parte più narcisistica che vuol far vedere quanto è figa la nostra vita.

Un po’ un discorso questo che abbiamo già affrontato quando parlavamo del giudizio degli altri.

Oltretutto viviamo anche in una società che non contempla il fallimento, o, perlomeno, “lo spazza sotto il tappeto” per dare (molto) più spazio alle storie di successo di chi “ce l’ha fatta”, storie che si vedono costantemente sui social media, e che vengono glorificate dai media sia online che offline.

Storie di imprenditori milionari che diventano delle superstar, storie di influencer che basta che aprano bocca per respirare e fanno milioni e, in ogni caso, la cultura della super produttività come un valore assoluto (che se non lavori cento ore la settimana come Elon Musk sei un cazzaro).

Lasciando un attimino da parte la superficialità di questa cosa, quello che comunque non si vede è il mazzo che si sono fatti per arrivare dove sono adesso, un mazzo che magari richiede, sì, 100 ore di lavoro la settimana ma implica il fatto che, nel corso del tempo, siano state prese cantonate, vicoli ciechi, e molti tentativi siano in realtà andati falliti.

La storia è piena di personalità che noi riteniamo di enorme successo che però si sono dovute alzare innumerevoli volte da cadute, delusioni, errori e probabilmente hanno dovuto più di spesso di quanto crediamo affrontare pensieri distruttivi o, perlomeno, bloccanti come appunto “sei il solito fallito”.

Perseverare

Per quanto non sia assolutamente un fan della distinzione tra “vincenti” e “perdenti” perché sono comunque etichette che vogliono dire ben poco, mi è rimasta impressa la frase che ho visto stampata su un poster appeso nella palestra dove si allenava la protagonista del film “Million Dollar Baby” e che diceva più o meno: “i vincenti hanno semplicemente voglia di fare quello che i perdenti non vogliono fare”.

Falliti e Vincenti

Di nuovo, non mi piace la distinzione tra vincenti e perdenti, ma, secondo me, c’è una verità di fondo ossia che sia i vincenti che i perdenti devono affrontare le medesime sfide, gli stessi ostacoli e avranno più o meno gli stessi impedimenti. Ma laddove alcuni scelgono di fermarsi di fronte agli ostacoli, altri vanno avanti nonostante questi e forse anche grazie a questi.

Non è l’ostacolo a fare la differenza, ma è più che altro come noi reagiamo a questo ostacolo e che cosa facciamo dopo che lo abbiamo incontrato.

Una questione di prospettiva

Mi sento un fallito Prospettiva

È tutta una questione di prospettiva e degli occhiali con cui scegliamo di vedere la situazione. Purtroppo, molto spesso, decidiamo di metterci gli occhiali del pessimismo, per cui quando le cose vanno male vediamo tutto nero ed è un po’ come se dicendoci che siamo dei falliti ci dicessimo anche che non abbiamo le capacità, le possibilità, la forza per farcela.

La questione è che più ci diciamo queste cose, più ci crederemo e meno ci impegneremo a raggiungere i nostri obiettivi non impegnandoci a fondo e, alla fine, dandoci ragione.

Questa, forse, è la vera conseguenza del fallimento.

Oltretutto, ed è qui che sta la differenza tra chi va avanti e chi si ferma, è chiaro anche che questi occhiali con cui vediamo la realtà, sono soggettivi. Diverse persone, in diverse situazioni reagiranno sempre e comunque in modo diverso. Chi si fa prendere dal pessimismo si ferma, chi decide di andare avanti, supererà l’ostacolo.

Una specie di profezia che si autoavvera non tanto perché non siamo capaci veramente di fare le cose, ma perché non ci sentiamo capaci e perché non diamo il nostro 1000 %.

Inoltre, pensare al successo e al fallimento guardandoli solo dal punto di vista del risultato è limitante. Non dovremmo pensare a successo e fallimento solo in base al risultato, ma anche e soprattutto dallo sforzo che ci abbiamo messo, dal processo che abbiamo utilizzato.

È la mente che cerca di difenderci

Oltretutto, questo pensiero di sentirsi dei falliti essendo così paralizzante, appunto non ci permette di agire.

Questa, molto probabilmente, è la nostra mente che cerca di tenerci al riparo da eventuali altre delusioni per non sentirci ancora di più dei falliti, ma, così facendo, non ci permette nemmeno di andare avanti, reagire e alla fine realizzare i nostri obiettivi più ambiziosi.

Sono un fallito VS Mi sento un fallito

Un’altra cosa importantissima da ricordare è la differenza tra “sei un fallito” e “questa cosa è un fallimento”.

Il primo è un giudizio sulla persona, il secondo è un giudizio su un evento.

Ho trovato questo modo interessante per vedere la cosa: spesso facciamo confusione tra “tratti” e “stati”.

Un tratto è una caratteristica della personalità, una predisposizione che influenza ciò che facciamo, come lo facciamo e cosa ci diciamo.

Uno stato, invece, è un’alterazione temporanea del modo in cui siamo, pensiamo e di come ci sentiamo.

Un po’ come a dire che la presenza del sole nel cielo è un tratto, la presenza di nuvole che coprono il sole è uno stato, appunto perché poi le nuvole passano e torna il sole che invece è sempre lì.

L’errore che spesso facciamo quando le cose non vanno come speravamo noi è confondere “tratto” e “stato”: il fatto che ciò per cui abbiamo lavorato tanto non abbia funzionato come speravamo non vuol dire che abbiamo fallito nella vita in tutto al 100% senza appello, siamo sempre stati dei falliti e una delusione per il mondo intero e sempre lo saremo.

Chiaramente, questo NON è un esercizio di pensiero positivo, ma la realtà oggettiva delle cose: noi in quanto esseri umani, siamo il risultato di un milione di un esperienze diverse, di situazioni, di stati d’animo e non è corretto associare il fallimento con un tratto distintivo della nostra personalità (“sono un fallito”).

Quindi, un piccolo passo in avanti nella giusta direzione potrebbe essere passare dall’ “essere un fallito” a “mi sento un fallito”. Il fatto di “sentirsi” un fallito vuole anche dire che dopo ci “sentiremo” in un altro modo, in un modo, si spera che ci permetterà di andare avanti e di scrollarci di dosso questa brutta esperienza.

L’approccio scientifico

Sentirsi un fallito

E implicitamente il fatto di identificarsi con un fallimento vuol dire che trasformiamo un evento esterno in qualcosa che è “noi”, un fallimento personale

Ci identifichiamo completamente con il nostro fallimento.

Però, forse, anche in questo caso è meglio utilizzare un approccio scientifico alla cosa nel senso che gli scienziati, non si identificano mai (o perlomeno non dovrebbero) con i risultati negativi dei loro esperimenti.

Un esperimento è solo questo: un esperimento.

Staccato e diverso da loro, un processo che convalida o meno un’ipotesi, di sicuro non un giudizio sullo scienziato.

Il progresso scientifico si basa proprio su un processo di ipotesi e verifica.

Per verificare l’ipotesi si fa un esperimento: se l’esperimento funziona, ok, e se l’esperimento non funziona si continua applicando alcune modifiche, ma non si lascia decadere l’esperimento.

Non c’è alcuna identificazione tra scienziato e risultato dell’esperimento.

No al perfezionismo; sì alla crescita

Un altro modo ancora è lasciar andare il perfezionismo per focalizzarci più su un processo di miglioramento incrementale.

Rimanere dei perfezionisti vuol dire focalizzarsi sul risultato e non accettare nulla che non sia perfetto. Stando così la cosa, chiaramente, abbiamo uno standard ideale, eccessivamente alto, che è una ricetta perfetta per il fallimento.

Focalizzarsi invece sul miglioramento incrementale, vuol dire accettare di avere delle falle e delle imperfezioni considerando queste come degli elementi inevitabili nel nostro percorso, elementi che però, nel corso del tempo, possiamo migliorare sempre di più, fosse anche solo pochissimo alla volta.

Siamo noi la pietra di paragone migliore

E quindi ecco che è un approccio completamente opposto a quello che facciamo quando guardiamo i social media: non è questione di sentirsi inferiori agli altri, ma è più che altro questione di paragonarci a noi stessi rispetto a dove eravamo ieri. Noi siamo il metro di paragone migliore quando possiamo valutare il nostro progresso (o mancanza di progresso, dipende un po’).

Se io mi paragono agli altri, stabilirò dei parametri che non c’entrano nulla con me, né con la mia storia né col mio impegno né con i miei obiettivi.

Inoltre quando io confronto me stesso con chi è (molto) più avanti di me, sicuramente mi sentirò un fallito, paragonando i suoi successi e i suoi talenti ai miei, facendomi sentire, molto probabilmente, da meno e magari facendomi dire “non valgo niente”.

Ma quando invece io, come pietra di paragone, prendo il me stesso al me stesso di ieri, ecco che allora, sì, posso davvero rendermi conto se sto andando nella direzione giusta oppure no.

Occhio ai nostri pensieri

Come dicevamo prima dirsi “sei un fallito” ha un’influenza fortissima sulla nostra mente, perché pensieri e parole sono molto potenti.

Come diceva Lao Tzu:

Osserva i tuoi pensieri, perché questi diventeranno le tue parole. Osserva le tue parole, perché queste diventeranno le tue azioni. Osserva le tue azioni perché queste diventeranno le tue abitudini. Osserva le tue abitudini perché queste diventeranno il tuo carattere. Osserva il tuo carattere perché questo è il tuo destino.

Lao Tzu

Quindi, aggiungo io, “osserva i tuoi pensieri perché questi sono il tuo destino”.

Come dicevamo sulla profezia che si autoavvera pensare di essere dei falliti vuol dire che, molto probabilmente, lo diventeremo, qualunque cosa questo voglia dire per noi.

È una cosa che ho notato spesso, ma dovunque si dà pochissimo peso alle parole che si dicono, soprattutto anche da parte di chi delle parole ne fa il proprio mestiere (vedi ad esempio i giornalisti).

Avere controllo su ciò che possiamo controllare

Il successo e il fallimento spesso dipendono anche da cose che sono all’esterno del nostro controllo.

E allora perché ci dovremmo sentire dei falliti anche se abbiamo dato del nostro meglio, ma qualcosa al di fuori della nostra portata non è andato come doveva?

Se ci sentiamo dei falliti, come dicevamo prima, possiamo indossare degli occhiali che ci facciano guardare le cose su cui noi abbiamo controllo diretto e focalizzarci su quelle, perché sono proprio quelle che, sul lungo periodo, ci garantiranno il successo.

Celebrare i fallimenti

Essere un fallito

Celebrare i fallimenti è un altro straordinario modo per non lasciarsi abbattere quando le cose non vanno come speravamo.

Quando facevo un po’ di ricerca ho imparato che nella sezione X di Google, dove si creano progetti innovativi, è una cosa normale cercare in ogni modo di far fallire i loro esperimenti, il più velocemente possibile.

Questo perché se hanno un’idea, che magari è anche bella e innovativa, vogliono rendersi conto appunto il più velocemente possibile quali sono le sue mancanze e i vicoli ciechi.

Anzi, hanno un atteggiamento così tanto positivo nei confronti dei fallimenti che i membri dei team vengono addirittura premiati se trovano dei modi per farli fallire!

Un ottimo modo per focalizzarsi non tanto sull’idea quanto sul miglioramento incrementale di quest’idea.

E poi, mentre raccoglievo un po’ le idee, mi è anche venuto in mente un cartone animato che ho visto anni fa, I Robisons – Una famiglia spaziale , in cui un bambino scienziato viene accolto da una simpaticissima famiglia di scienziati un po’’ pazzi che danno vita alle invenzioni più fuori di testa che gli possano venire in mente, ma che non celebrano tanto l’invenzione in sé quanto piuttosto il fatto di aver trovato un modo in più per cui la loro invenzione non funziona.

Come diceva Edison “non ho fallito a inventare la lampadina; ho semplicemente trovato 6000 modi per non farla funzionare”. Come a dire: basta un modo solo perché le cose funzionino ma le probabilità di trovare quel modo esatto funzionante alla prima sono bassissime. È solo una questione di probabilità.

Il fallimento fa parte del gioco

Il fallimento è quindi un processo inevitabile: un bambino non impara a camminare e correre senza prima fare qualche passo incerto e dare qualche culata per terra.

Non impariamo ad andare in bici senza cadere e senza farci male. Credo (spero) che nessuno di noi farebbe del terrorismo psicologico su un bambino che non riesce andare in bicicletta e gli direbbe “sei un fallito!!”.

Come noi non lo faremo coi bambini perché allora non possiamo farlo con noi? Certo, le poste in gioco sono diverse, ma il processo è esattamente lo stesso.

Per quanto ci piacerebbe, non possiamo scappare dal fallimento. Dobbiamo più che altro imparare a conviverci. Anzi, dobbiamo imparare ad usarlo a nostro favore.

Il fallimento come occasione per migliorare

Oltretutto, il fallimento, non è un vero fallimento finché continuiamo a provare. Se proprio vogliamo parlare di fallimento, allora possiamo dire che falliremo solo nel momento in cui smetteremo di provare e gettiamo la spugna.

Ma fintanto che continuiamo a provare nonostante tutto, allora non potremmo parlare di fallimento, ma parleremo invece di ostacoli nel percorso.

Possiamo utilizzare questi ostacoli come lezioni che impariamo. Possiamo imparare a utilizzare il fallimento per chiederci “ok, dove posso migliorare la prossima volta?”, “Dove avrei potuto fare meglio?”, “Dove o da chi posso recuperare le informazioni che mi mancano per fare meglio la prossima volta?”.

Se guardiamo ai fallimenti come delle occasioni di crescita allora potremmo addirittura passare dal sentirci delle merde fallite, a vedere questi fallimenti come doni che ci capitano lungo il percorso perché ci permettono di migliorare e, sul lungo periodo, realizzare quello che vorremmo realizzare.

Anzi, ora che ci penso, non è che per caso se non falliamo mai vuol dire che non facciamo abbastanza? Un po’ come quando in “Alla ricerca di Nemo” Marlin dice a Dory “Gli ho promesso che non gli sarebbe mai accaduto nulla” al che Dory risponde “Per non succedergli nulla non dovrebbe mai fare nulla! Sai che noia povero Sergio?” 😊

Alcuni “falliti” di successo

Vorrei anche chiudere questo articolo ricordando alcuni dei personaggi più famosi che nonostante i loro ostacoli, anzi forse grazie proprio a questi sono diventati le istituzioni che oggi conosciamo:

  • Steve jobs che è stato licenziato dall’azienda che lui stesso aveva fondato
  • Edison, che, come dicevamo prima, per trovare un modello funzionante per la sua lampadina era passato prima attraverso migliaia di prototipi che non funzionavano
  • Google che, tra le altre cose, aveva lanciato i suoi famigerati Google Glass che poi sono stati ritirati dal mercato poco dopo.

O ancora Einstein o Walt Disney, o Michael Jordan e chissà quanti altri campioni, artisti, politici ma anche uomini e donne comuni che tutti i giorni si imbattono e combattono contro i propri fallimenti e vanno avanti nonostante e grazie a questi.

Se ci fosse solo una cosa che ti ricorderai di questo articolo vorrei che fosse che è ok sentirsi dei falliti se questo sentimento lo abbracciamo e lo riconosciamo per quello che è: uno stato d’animo che poi, come tutto il resto passa, come le nuvole lasciano posto al sole.

Il prossimo passo

Capisco, perché ci sono passato anche io, che quando ci diciamo “sono un fallito” vuole anche dire magari “Non ho realizzato il lavoro dei miei sogni”, “Non sono indipendente finanziariamente”, “Non sono riuscito a realizzarmi” e chissà quali altre cose.

Potremmo provare, d’ora in poi, ad aggiungere un “ancora” alla frase: “Non ho ANCORA realizzato il lavoro dei miei sogni”, “Non sono ANCORA indipendente finanziariamente”, “Non sono ANCORA riuscito a realizzarmi”.

Usare “ancora” vuol dire dirsi che fino adesso non ci siamo riusciti ma che, nonostante tutto, continueremo a provare perché, come dicevamo, il vero significato del fallimento sta nell’arrendersi.

FAQ

Perché sono un fallito?

Chiariamo una cosa: non sei un fallito, nello stesso modo in cui non sei un vincente. Sia “fallito” che “vincente” sono semplici etichette che non vogliono dire nulla perché si riferiscono ad uno standard che non esiste. Non sei un fallito perché, anche se la tua mente cerca di convincerti del contrario, non puoi aver fallito tutto nella vita, ma soprattutto perché “essere” un fallito presuppone anche il fatto che tu sia sempre stato così e sempre sarai così. Piuttosto che “essere un fallito”, puoi dire di “aver fallito”, ricordandoti però anche di dire che il fallimento, che ti piaccia o no, fa parte del gioco.

Cosa succede se una persona fallisce?

Ricordiamoci che il vero fallimento si ha quando una persona smette di provare. Allora, quando si smette di provare, si rischia di andare incontro a rimpianti e delusioni. Ma fintanto che continuiamo a provare e a dare il meglio di noi stessi, allora il fallimento non esiste. Tutt’al più esistono degli ostacoli e delle cadute ma tutto quello che dobbiamo fare è “semplicemente” rialzarsi e continuare a camminare facendo tesoro della lezione che abbiamo imparato “con le cattive”.

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